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    TB BOARD | INTERVISTA ALL'ARTISTA - DAFNA MAIMON
    TB BOARD | INTERVISTA ALL'ARTISTA - DAFNA MAIMON
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    INTERVISTA A DAFNA MAIMON
    Elisa Muscatelli

     

    Elisa Muscatelli – Come descriveresti la tua ricerca a chi la incontra per la prima volta?

    Dafna Maimon Mi piace creare esperienze che raccontino come stiamo insieme, come trattiamo – o non trattiamo – le nostre emozioni, i nostri corpi e gli altri. Generalmente i miei lavori partono da un’esperienza, spesso da una frustrazione, l’idea che le cose possano essere differenti. L’esagerazione per me è un modo per comunicare queste sensazioni.
    Dopodiché cerco altre storie, immagini, teorie e tecniche che supportino la scintilla originaria, o di fatto la contrastino, o la amplino. Infine provo a concentrare tutto in qualcosa che diventi un’esperienza per il pubblico.
    Il nostro lottare con la perdita, il trauma, le nostre personali costruzioni di stampo individualista che trattano la realtà come una totalità e i sistemi che abbiamo messo in atto per far funzionare questa realtà (patriarcato, consumismo, individualismo etc.) ed il nostro non essere in sintonia con la realtà di fondo, cioè quello che per una mancanza di espressioni migliori possiamo chiamare “il flusso delle cose”, è un’ininterrotta conversazione in tutti i miei lavori.

     

    EM – Nelle tue opere ci sono molti temi di ricerca e lo humor diventa un punto di vista interessante attraverso il quale poterli leggere: quanto è importante questo approccio e in che modo condiziona la produzione e la lettura delle tue opere?

    DF È importante avere un po’ di leggerezza, essere spensierati, altrimenti sembra che sia solo scienza, “fatti” e visioni che sono destinate ad essere troppo limitate.
    Il lavoro può essere un gioco ed è proprio quando lo si percepisce così che sto lavorando al meglio.
    L’umorismo è un modo per connettersi con le persone, tuttavia non è qualcosa che ricerco in modo obbligato, è solo che generalmente non sono motivata a fare qualcosa che non mi faccia ridere, indipendentemente dal fatto che sia una risata data dalla tristezza, dall’assurdità o pura gioia. Ridere assieme e ridere da soli sono probabilmente le cose più importanti.  È un’eruzione come piangere o avere un orgasmo; l’umorismo è il mio riferimento preferito ed è anche il più comune.

     

    EM – Nei tuoi lavori, come nella performance Wary Mary o Mangia tutto quello che puoi o Opps Hoops sono spesso presenti delle immagini universali, dall’utero al sistema solare, al mondo dell’infanzia.
    Sono punti di partenza per la costruzione delle performances o approdi della tua ricerca?

    DM – Solitamente sono dei punti di partenza, ma non sempre. 🙂

     

    EM – Nelle tue opere lo spazio svolge una funzione determinante: di volta in volta lo spettatore è calato in grotte preistoriche o nel ristorante kebab e falafel Orient Express, ricostruzioni che creano un cortocircuito temporale.
    Quanto conta il rapporto con il tempo e lo spazio all’interno della tua pratica artistica?

    DM – Sono molto interessata a creare delle esperienze molto vivide, lo spazio gioca un ruolo cruciale.
    Mi permette di creare una realtà parallela in cui l’esperienza si manifesta. Idealmente, vorrei inghiottire gli spettatori e bloccare l’accesso a qualsiasi cosa che possa distrarre dalla sensazione che sto cercando di risvegliare. Inoltre, mi piacciono le cose con una fisicità: sculture, oggetti, costumi; le differenti texture che contribuiscono a esprimere una storia che non sia solamente conoscitiva o lineare, ma percettiva.
    Esiste un tempo all’interno dell’opera, e poi c’è un tempo che essa riflette o di cui parla.
    Perlopiù, mi piace mescolare significanti di tempi diversi, e tendo ad essere esteticamente emozionata nel creare immagini che siano senza tempo o non necessariamente super contemporanee, anche se sono in gioco questioni che riguardano il contemporaneo.
    Per quanto riguarda il tempo all’interno delle opere, tendo a voler sedare le persone attraverso a ripetizione e lavorando in loop, quindi è più un esprimere condizioni esistenziali che sono percepibili come in continua progressione.

     

    EM – La tua pratica artistica esplora nel profondo la figura della donna, vista come essere generatrice: di paura, di un’altra vita, di nuove idee. Come collochi questa visione all’interno di una panorama artistico-sociale che si divide tra un forte attivismo femminile e una battaglia pro gender fluid?

    DM – Be’ l’idea di “donna”, o di genere, nel suo complesso, è una costruzione, ma dal momento che le mie opere spesso partono da donne (non di fantasia) che conosco, o da figure storiche, il mio lavoro riflette sulle tante storie di coloro che hanno vissuto la vita femminile e su ciò che hanno affrontato.
    Ho sempre avuto difficoltà nel “definire il mio genere” e i relativi ruoli, quindi molto del lavoro viene anche da lì, da questo fare i conti con il genere femminile. Quindi non li vedo (il forte femminismo e il movimento pro gender fluid) come necessariamente in contrasto l’un l’altro, sono entusiasta di tutti i cambiamenti a cui ho già assistito nella mia vita e dell’esperienza diretta di donne che si supportano tra loro sempre di più.
    Penso anche molto alle stelle marine, alcune di loro possono cambiare il loro sesso continuamente, il che sembra una cosa davvero logica.

     

    EM – Nelle tue performance si intersecano linguaggi appartenenti a diversi media, dal teatro, al cinema, alla scenografia. Come vedi l’interazione con questi linguaggi e quale è il rapporto con essi?

    DM  In quello che faccio i linguaggi semplicemente si intersecano secondo necessità di comunicazione, in base a quello che sto cercando di esprimere. Mi piace esplorare le loro diverse possibilità intrinseche. In precedenza, non mi sono mai veramente rapportata con nessuno di essi né ho avuto una particolare formazione o approccio, cerco solo di lavorare in più modi possibili, così apprendo cose da ogni linguaggio.
    L’esplorazione di ognuno di essi aiuta a svilupparli, fornisce diversi punti d’accesso e flessibilità per muoversi all’interno di differenti linguaggi.
    Per esempio, ero solita lavorare molto con il video e la logica dell’editing, ed è stato divertente e utile rispetto al modo con cui mi rapporto alla performance, e ora spero che il lavoro più recente con la performance e il corpo faccia altrettanto tornando a lavorare con il video.

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