Elisa Muscatelli – Se dovessi raccontare la tua ricerca a qualcuno che la incontra per la prima volta, come la descriveresti?
Sarah Faux – Dipingo persone senza margini ben definiti, corpi che non possono essere inquadrati facilmente perché si sono dissolti in campi di sensazioni.
EM – Nelle tue opere si individuano riferimenti importanti, dal Cubismo a Schiele, fino a Frankenthaler e Krasner, uniti ad una tavolozza di colori molto pop. C’è una corrente artistica nella quale ti identifichi e che ti ha maggiormente influenzata?
SF – Ho passato molto tempo a studiare pittori che giocano con la percezione del colore, le campiture vibranti di Rothko o i cani addormentati di Bonnard, che svaniscono in lontananza nella transizione ottica. Sono anche in debito con quegli artisti che hanno introdotto immagini dense di significato in opere che, nel complesso, vengono considerate astratte, come Ghada Amer ed Ellen Gallagher. Ma alla lunga resto una pittrice contemporanea, che mastica e rigurgita costantemente influenze, e mi identifico più con i miei coetanei che con qualsiasi movimento del XX secolo.
EM – Dopo qualche anno di produzione di dipinti, sono emersi i tuoi cut out.
Mi ricordano molto una versione adulta delle bambole di carta fai da te degli anni ‘70: come ti sei avvicinata a questa pratica stilistica? E in che modo è cambiato il tuo approccio rispetto alla tela?
SF – Faccio cut-out da almeno 8 anni, e in realtà sono antecedenti alle mie prime mostre di pittura. Li ho realizzati per aiutarmi a organizzare i pensieri e i dipinti ad olio, che all’epoca erano davvero ambigui e non riuscivano ad evocare le esperienze corporee come volevo. Disegnare dal vero e poi ritagliare le forme disegnate, mi ha fatto notare come i nostri corpi fisici appaiano già molto astratti. Così, se volevo creare dipinti che comunicassero sensazioni astratte, mi sono resa conto che non era necessario offuscare la figura, ma solo rivelarne la sua natura misteriosa, sfuggente, intrinsecamente astratta.
EM – Hai descritto la fase di produzione dei dipinti come riflessiva e bisognosa di un lungo tempo esecutivo, in perfetto dialogo con una tendenza narrativa, ma al tempo stesso in apparente contrasto con un fare istintivo e astratto che la caratterizza. Mi domando come queste due componenti riescano a dialogare dando vita alla descrizione visiva di un corpo che è, per sua natura, in continuo mutamento.
SF – Penso che tu ti stia riferendo alla vita interiore ed esteriore di una persona. Il corpo è una delle poche cose che sperimentiamo sia dall’interno che dall’esterno, quindi all’interno del mio lavoro voglio sempre mantenere questi due elementi in tensione – le esperienze narrative esterne e le sensazioni interne indescrivibili. Così inizio i miei dipinti con una composizione di immagini in mente, ad esempio una coppia che si struscia l’una sull’altra con i gomiti che sporgono formando goffi triangoli opposti. Poi inserisco in primo piano i colori, le forme e una materialità mutevole, quel tanto che basta affinché lo sguardo scivoli via dalla coppia. Continuo finché non raggiungo quel punto di equilibrio che mi soddisfa pienamente.
EM – Il colore sembra essere una parte centrale della tua pratica artistica e più in generale del tuo interesse teorico, infatti uno dei libri che ti ha particolarmente colpito è Bluets di Maggie Nelson dove il blu è al centro di una meditazione soggettiva e filosofica.
Quale è il tuo approccio al colore? Credi che abbia un certo tipo di spiritualità che sfrutti a livello simbolico?
SF – Ricordo di aver studiato i pigmenti al college, e di aver capito che esiste un linguaggio davvero specifico per le piccole differenze tra le variazioni di una tonalità, come per esempio il blu – cobalto, ceruleo, blu oltremare, prussiano, indaco, etc. L’emozione di giocare con queste sottili differenze non è mai svanita. Le relazioni di colore in me scatenano delle esperienze intense, sia sensazioni come il desiderio o la gioia, sia risposte sinestetiche come il desiderio sessuale o un cambiamento della temperatura (ad esempio un senso di calore). Il libro Bluets di Maggie Nelson rende giustizia alla complessità del colore blu, in un modo per il quale mi sento incredibilmente grata.
Per quanto riguarda il mio approccio al colore, non lo vedo come un simbolo, perché ogni colore è troppo mutevole per simboleggiare una qualsiasi cosa. Ma sento profondamente quella mutevolezza, nello stesso modo in cui percepisco i miei stati fisici ed emotivi come variabili, frammentati, impossibili da fissare in una forma statica e conclusa.
EM – Nel panorama artistico contemporaneo si parla molto di avatar, A.I. ed alter ego digitali che vengono utilizzati come estensione del proprio corpo all‘interno di una realtà digitale in grado di emanciparsi dai limiti fisici e morali della realtà quotidiana. È interessante notare come le tue opere, sebbene con un linguaggio molto diverso, condividano questa volontà di estensione del corpo, mi piacerebbe sapere come ti poni rispetto a questa tematica.
SF – È un interessante parallelismo da analizzare. Più che come spazi in cui identificare personaggi o avatar, penso ai miei dipinti come a dei puzzle percettivi. Ma il desiderio di trascendere i confini del sé è molto presente nel mio lavoro. Spesso oriento i miei dipinti da un punto di vista ravvicinato, in prima persona, per trasformare l’opera in un’estensione del corpo dello spettatore.
EM – La libertà espressiva, soprattutto sessuale, della donna ha sempre dovuto scendere a compromessi con la società circostante. Hai parlato di una forza che nasce da una rabbia sepolta e della necessità di ribaltamento del punto di vista maschile. Credi che l’arte debba assumersi questa responsabilità etica nei confronti delle nuove generazioni?
SF – Sì, ma non necessariamente in modo diretto. Non credo che l’arte abbia bisogno di illustrare “valori etici”. Allo stesso tempo, i miei dipinti sono sfuggenti, sfumati e sessuali, perché voglio trasportare gli spettatori in uno spazio mentale aperto che è libero da certi preconcetti. C’è un nucleo etico in questo impulso: i corpi nel mio lavoro tradiscono i loro confini, perché questi confini sono limitanti. Il mondo verbale e narrativo è limitante. Portare le persone in uno spazio mentale dove il genere e il desiderio sono sfuggenti come il colore, è liberatorio.
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