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    IL RACCONTO VINCITORE
    IL RACCONTO VINCITORE
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    CONCORSO LETTERARIO ARTDATE 2016

    PRIMA EDIZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO DI ARTDATE
    Se una mattina d’estate una studentessa
    di Chiara Maffioletti

     



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    SE UNA MATTINA D’ESTATE UNA STUDENTESSA

    “Lorenzi, mi descriva il ciclo giottesco della Cappella degli Scrovegni. Vorrei prestasse particolare attenzione alla descrizione dell’iconografia del Giudizio Universale”. La Professoressa De Antonio pronunciò queste parole con un unico tono, al contempo gelido e annoiato. Ed io in tutta risposta emisi un lungo sospiro che si trasformò in un pianto soffocato e disperato.
    Il risveglio fu violento, improvviso e accompagnato da una dose discretamente equilibrata di tachicardia e sudore a secchiate. Era già la terza volta in una settimana, da quando la professoressa di Storia dell’Arte del mio liceo aveva annunciato le interrogazioni programmate, che la mia mente partoriva sogni del genere. Ricchi di quei dettagli che rendono un racconto tanto preciso quanto surreale. Beh dopotutto, io, Anna Lorenzi, liceale diciassettenne appassionata di scacchi e due volte campionessa italiana al Torneo di Giochi Matematici, non potevo sognare semplicemente di uscire con un ragazzo sorseggiando una bibita in un campo fiorito. Dovevo tormentarmi l’anima per l’ormai imminente interrogazione di Storia dell’Arte che, per quanto potessi studiare, rimaneva per me una materia superflua, inutile e di scarsa attrattività. Un po’ come il latino, il greco, la filosofia e tutte le altre materie umanistiche che mi trovo costretta a studiare al fine di compiacere i miei eccentrici genitori: una gallerista figlia dei fiori un po’ appassiti e un professore di filosofia che troppo spesso si dimentica di essere stato a sua volta un alunno. Ecco, da due soggetti così non potevo che nascere io, con la mia passione folle per tutto ciò che è matematicamente calcolabile e scientificamente dimostrabile, giusto? e viste le mie ovvie inclinazioni attitudinali i miei genitori non potevano far altro che sollecitarmi ad iscrivermi alla scuola più antica, prestigiosa, difficile e noiosa della città: il Liceo Classico Vittorio Emanuele II. Tutta questa lunga serie di contraddizioni dovrebbe bastare per far capire lo stato d’animo con cui mi accingevo ad affrontare la fatidica interrogazione della seconda ora. Fortunatamente la prima ora era buca, per cui saremmo entrati in aula solo alle 9.00. Un’ora intera per ripassare, un’ora in cui avrei potuto apprendere di Giotto più di quanto Giotto stesso non sapesse. Che poi, poveretto, davvero Giotto si chiamava? il bassotto della mia vicina porta lo stesso nome, ed io lo trovo così appropriato.
    Comunque, visto che la saggezza non è dote delle diciassettenni frustrate, decisi di trascorrere la prima ora con il mio amico nonché vicino di casa Luca nell’Orto Botanico, che si trovava proprio dietro al liceo. Luca è il classico ragazzo nerd e un po’ svogliato che si pensa possa esistere solo nei telefilm americani, sempre in cerca di qualche nuova piccola emozione che poi trova, immancabilmente, nell’ultimo videogame recensito da GameWeek.
    Una volta percorsi i 141 gradini (che sono fissata con i numeri penso di averlo già detto…) che conducono all’Orto io e Luca ci sediamo su una panchina a scaldarci ai raggi di quel primo sole che a maggio preannuncia un’estate imminente e torrida. Senza troppa enfasi Luca si volta ed estrae dal suo zaino una canna. Lo sguardo però è più acceso del solito, come se il suo obiettivo di dare una smossa alla giornata fosse per lui ormai raggiunto. “L’ho rubata a quell’imbecille di mio padre. Pensa che in casa siamo tutti ciechi, oltre che privi di olfatto”, dice con il tono di chi ha già vinto una sfida. A questo punto la mia mente matematicamente programmata mi avvisa del fatto che tra meno di quaranta minuti sarei stata interrogata, entra in conflitto con la follia adolescenziale che mi contraddistingue e ancora, per l’ennesima volta, la mia mancanza di saggezza vince. “Solo un paio di tiri, che poi voglio essere lucida per l’interrogazione” dissi. “Guarda che rilassarsi prima di una sfida aiuta al combattimento” disse con il suo solito tono da marines navigato “solo che…non ho l’accendino” aggiunse. Prontamente allora estrasse dallo zaino una lente d’ingrandimento e disse “questo sole potrebbe darci una mano” e, con la scaltrezza di un vero e proprio marines, proiettò un fascio di luce sulla canna, che si accese. Passammo un po’ di tempo così, fumando e parlando del concerto dei MASBEDO a cui saremmo dovuti andare la sera stessa e a cui, lo sapevo benissimo, non sarei potuta andare se l’interrogazione fosse andata male.
    Quella di fumare, in ogni caso, non fu un’idea troppo brillante. Caldo, Cannabis e Crisi di nervi sono una tripletta che inevitabilmente dà alla testa. Decisi allora di fare due passi e ne approfittai per passare in biblioteca, che si trovava proprio di fronte al liceo. Chiesi in prestito il libro che mia madre mi aveva raccomandato di ritirare per lei e la bibliotecaria mi disse di seguirla nel deposito. Qui, complice il freddo, la mia testa prese a girare e i libri, meticolosamente disposti sugli scaffali, sembrarono espandersi verso l’alto a formare un’enorme torre di Babele. La bibliotecaria mi parlava rapidamente, ma la sua voce sembrava ripetere sempre le stesse parole “scadenza, scadenza, scadenza…prestito, prestito, prestito…puntuale, puntuale, puntuale”. Senza ben capire come, poco dopo uscii dalla biblioteca con il mio libro di “Iconografia e Iconologia della Danza Macabra” in mano e mi affrettai verso la scuola.
    Giunta in classe mi sedetti al mio banco, in seconda fila vicino alla finestra, e cercai di rilassarmi un po’. L’aula era ancora semi-vuota, le finestre aperte illuminavano le pareti dipinte di verde, accendendole. Avevo la sensazione di trovarmi in una sala d’attesa, in quella green room in cui gli attori sostano prima di mettere in scena la loro performance. Presi dunque a sfogliare il libro preso in prestito leggendone l’introduzione. Al suono della campanella la professoressa De Antonio entrò in classe con fare annoiato, venato da un leggero senso di frustrazione dovuto probabilmente da quel primo caldo che mal combaciava con la sua tendenza ad indossare calze contenitive e maglioni a lupetto, rigorosamente color senape. Dopo un appello alquanto sbrigativo mi chiamò alla cattedra per l’interrogazione. Ancora parecchio stordita mi alzai e mi avviai verso la lavagna. Ero pronta per la mia esibizione, quando dall’esterno si sollevò il rumore di una trivella pronta a risvegliare dal tepore della quiete quella calda mattinata di maggio. La professoressa si alzò e raggiunse il mio banco per chiudere la finestra. Una volta chiusa, il suo sguardo si posò sul libro preso in prestito per mia madre e prese a sfogliarlo portandolo con sé verso la cattedra. Si rivolse a me con un tono quasi addolcito e mi disse di raccontarle quanto sapevo dell’iconografia medievale della Danza Macabra, argomento che era solo stato accennato in classe. Le ripetei a tavolino quanto letto pochi minuti prima dando l’impressione della studentessa diligente e interessata che approfondisce addirittura gli argomenti trattati in classe con letture personali. Accennai persino alla Danza Macabra che avevo visto a Clusone poche settimane prima con mia mamma, che si era recata lì con un artista della sua galleria per scattare qualche foto. Quella specie di interrogazione chiacchierata si tramutò in uno splendido otto e mezzo sul mio libretto.
    Non so se anche la De Antonio avesse fumato qualcosa e fosse stata anche lei vittima della tripla C, ma sapevo che a me Caldo, Cannabis e Crisi di nervi (e forse anche un po’ di Culo) avevano spalancato le porte alla C più importante.. quella di Concerto! Dopotutto quella mattina l’arte, una certa utilità, me l’aveva saputa dimostrare.

    Chiara Maffioletti

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